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Lectio: intervista al Vescovo

5 Ottobre 2019

Quest’anno, riprendendo lo spunto di Papa Francesco nell’Esortazione apostolica post-sinodale ai giovani ed a tutto il popolo di Dio, il ciclo della Lectio divina guidata – per il sesto anno –  dal vescovo Antonio Suetta verrà dedicata a “I giovani nell’Antico Testamento”.

Venerdì scorso, nella consueta cornice dell’Oratorio dell’Immacolata a Sanremo, è stata presentata la figura di Giuseppe (“Ascoltate il sogno che ho fatto”) nel racconto del capitolo 37 del Genesi.

Abbiamo rivolto al vescovo alcune domande.

Sognano i giovani?

Il Papa nella Chritus vivit tocca il tema dei sogni riprendendo il profeta Gioele: “I vecchi faranno sogni, i giovani avranno visioni”.

Cosa dire loro allora su questo aspetto?

“Che il tema del sogno, nella nostra stessa cultura anche se con modelli diversi, è tipicamente giovanile, perché insopprimibile nel cuore dell’uomo, tanto che Dio stesso, come leggiamo nella Bibbia, lo usa per parlare a coloro che chiama”.

Sognano ancora i giovani, oggi?

“Spero di sì. L’importante è che loro stessi, o altri, non mortifichino i sogni. Poiché Dio ci parla e – come suggestivamente dice il Talmud – il sogno si può considerare come un frammento di profezia. Certo sul piano umano può essere ritenuta solo una velleità giovanile che presto svanisce; o forse, perché no?, quella scintilla che scocca ed accende il cuore del giovane”.

Chi è ancora capace di far sognare i giovani?

“Credo i grandi ideali. Se il mondo pretende di razionalizzare tutto, di appiattire – nel senso di una globalizzazione negativa ed al ribasso – tanto da rendere tutto facile… allora si uccide il sogno. Perché il sogno è ardito. Oppure non è”.

Per il cristiano il sogno è inizio di un “vedere” che dischiude il mistero di Dio, che obbliga il profeta a parlare non con atteggiamento narcisistico, proprio per costruire una fraternità che, nel caso della storia di Giuseppe, viene frantumata dall’invidia e dalla gelosia.

La storia ed il contrasto fra i figli di Giacobbe diventa così il paradigma di un cammino che riguarda non la storia passata di un clan lontano nel tempo. Riguarda noi, la nostra vita, quella della Chiesa intera chiamata a confrontarsi con l’”altro” attraverso il quale riusciamo a conoscere noi stessi. La fraternità è strumento di verifica della nostra fede che ci aiuta a compiere il passaggio, possibile solo attraverso la grazia divina, che fa diventare l’altro, finalmente, un fratello.

Sia questo l’augurio migliore per noi e per l’Anno Pastorale che inizia.

intervista di don Antonio Garibaldi

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