Diocesi Ventimiglia – Sanremo

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Chiesa Cattolica Vescovo

Omelia del Vescovo Antonio durante la Celebrazione in suffragio di Papa Francesco

24 Aprile 2025

Eccellenza, confratelli presbiteri e diaconi, autorità, religiosi e religiose, associazioni, gruppi, movimenti, cari fratelli e sorelle, siamo davvero in molti questa sera per la santa liturgia in suffragio di Papa Francesco. 

Per usare una sua tipica espressione, verrebbe da dire che questo “è molto bello”. Lo diceva spesso, quando riconosceva in qualche situazione particolare un segno di speranza, un segno di comunione o un germe di bene.

Davvero è molto bello, è prezioso, è significativo che questa sera ci ritroviamo insieme per rispondere ad una sua richiesta che è stata costante in tutto il tempo del suo pontificato, non mancava l’occasione di ricordare all’angelus domenicale e a tutti gli altri incontri in cui dicesse: “non dimenticatevi di pregare per me”. 

Lo abbiamo fatto certamente tante volte raccogliendo il suo invito e lo facciamo anche questa sera, in questo definitivo passaggio della sua vita, un passaggio che, significativo anche per il momento liturgico, lo ha introdotto nella Pasqua Eterna del Signore Gesù.

Tra le tante testimonianze che in questi giorni, dovunque troviamo di lui, mi è capitato di vedere un frammento dove Papa Francesco diceva questa cosa a proposito del mistero della morte. Diceva: “davanti alla morte è naturale e umano avere paura, perché la morte suscita in noi molte domande, perché la morte sembra spingerci verso un cammino dove c’è Dio, fino davanti ad una porta dove noi non siamo soli. E sappiamo che nonostante la paura – diceva – anch’io ho paura, che nonostante la paura sappiamo che al di là di quella porta c’è la festa”. Noi siamo qui a chiedere al Signore, per lui, che sia introdotto in quella festa, che il Signore prepara per tutti i suoi figli e che che offre come ricompensa per il bene che si è compiuto nel pellegrinaggio terreno e per l’accoglienza del dono della fede.

Facciamo questo perché siamo legati a Papa Francesco prima di tutto da un vincolo di fede. Egli è stato Papa e dunque Vicario di Cristo, Successore di Pietro, Pastore universale del popolo di Dio. Secondo le parole di Gesù, il suo compito e la sua grande responsabilità è stata quella di confermare i suoi fratelli nella fede. 

Siccome la fede è il bene più prezioso della vita, questo vincolo misteriosamente, provvidenzialmente, perché il Signore ha voluto così, ha legato la nostra vita a quella di Papa Francesco, perché il Signore ha voluto che la vita di Papa Francesco fosse consacrata, fosse offerta per la sua Chiesa e dunque anche per ognuno di noi.

Siamo poi legati a Papa Francesco da un debito di gratitudine. Non soltanto per il suo lavoro, la sua testimonianza, il suo impegno, ma perché sempre dai suoi atteggiamenti ci siamo accorti che Papa Francesco voleva bene al suo popolo e ha profuso il suo lavoro, la sua premura, la sua attenzione per svolgere al meglio la missione che il Signore gli ha affidato. 

Questa sera siamo, come dicevo all’inizio, davvero in tanti, questa Basilica è gremita e vorrei che noi cogliessimo questo segno che naturalmente va ad oltre le mura di questa Chiesa, perché tocca tutta la nostra Chiesa particolare, di Ventimiglia – San Remo, perché tante persone, quelle che non sono qui questa sera, però, nelle loro parrocchie, nelle loro case, nel loro cuore, pregano per Papa Francesco. Quindi è davvero una grande e corale esperienza di popolo.

E questa grande e corale esperienza di popolo si inserisce in quello che noi stiamo vedendo, oggi a Roma e in tutto il mondo. Però vorrei adesso che siamo qui, che siamo in questa nostra chiesa di Ventimiglia – San Remo, citare soltanto alcuni momenti di suo contatto particolare con questa chiesa. Naturalmente cito quelli che ho in mente io, che ricordo io, ma ce ne sono sicuramente stati tanti altri. 

Mi è caro ricordare che è Papa Francesco che mi ha voluto vescovo e che mi ha mandato a questa chiesa e io gli sono grato anche per questo. L’ho incontrato la prima volta, pochi mesi dopo la mia consacrazione, partecipando al corso di formazione dei nuovi vescovi. Mi ha sorpreso che, dicendogli il mio nome, lui ricordasse la mia provenienza dalla diocesi di Albenga – Imperia. 

Poi l’ho incontrato un’altra volta, in occasione di un corso per le diocesi che avevano riassegnato al proprio tribunale le cause matrimoniali. In quella circostanza l’Azione Cattolica proprio di questa parrocchia mi diede il cofanetto di quel film che aveva realizzato “La Rosa nell’Armadio” e io l’ho portato al Santo Padre. Quel giorno mi disse, in realtà mi era già stato anticipato da un mio amico, che al mattino era stato in udienza da lui, mi disse,  questa mattina abbiamo parlato di te con Don Roberto. 

E poi l’ultima volta, no, poi verso la nostra chiesa ha fatto dei bellissimi gesti che – se ricordate – nel 2016 di fare quando era viva la questione dei migranti, soprattutto a Ventimiglia, il Papa scrisse un bel biglietto alla nostra diocesi. Noi in quel tempo abbiamo realizzato, grazie anche alla generosità delle Suore del Purgatorio, una casa d’accoglienza per i più poveri, che abbiamo proprio intitolato a Papa Francesco. 

E l’ultima volta, l’anno scorso febbraio, quando sono stato alla “visita ad limina”, durante l’incontro ho avuto modo, tra le altre cose, di raccontare in maniera un po’ più diffusa a Papa Francesco la bella storia, per me, del nostro seminario, della benedizione del Signore del dono di numerose vocazioni alla nostra Chiesa. Mi ha colpito perché qualche mese dopo, a maggio, aprendo i lavori come faceva di solito dell’assemblea generale della Conferenza Episcopale Italiana, uno degli argomenti di cui ha voluto parlare ai vescovi era quello vocazionale e a sorpresa ha citato la Diocesi di Ventimiglia – San Remo. Quindi questo mi ha colpito, sapere che la Diocesi di Ventimiglia – Sanremo è stata non soltanto nella sua cura pastorale come tutte le diocesi, ma che ha avuto modo di nominarla, di pensarla, in tante circostanze concrete. E’ un segno di quella comunione di cui la Chiesa vive.

Vorrei prendere dalla Parola del Signore che abbiamo appena ascoltato due icone che oggi i testi biblici ci hanno regalato per, così, riconoscere in quel disegno un tratto del ministero, della sensibilità e del magistero di Papa Francesco. 

Nella prima lettura, proprio Pietro, di cui Papa Francesco è stato il successore, proprio Pietro andava al Tempio e incontra uno storpio che tende la mano per chiedere l’elemosina. Pietro gli dice “io non ho né oro né argento, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Nazareno, alzati e cammina”.

Questo ci fa venire in mente molte cose, molte caratteristiche, molte sensibilità di Papa Francesco. 

Vorrei farci risuonare nelle orecchie, nel cuore le parole accorate che lui ha detto una volta, come se sognasse questo tema, che gli è tornato spesso nelle sue espressioni. E diceva: “Come vorrei, una chiesa povera per i poveri. Non ho né oro, né argento, ma quello che ho te lo do”. 

Quando parlava della Chiesa, soprattutto nei primi tempi, e la indicava, la raccontava come un ospedale da campo. Indicando così a noi, come a tutto il popolo di Dio, che la Chiesa deve essere madre, testimone e dispensatrice di misericordia, tema a lui tanto caro, che è stato sicuramente il tratto distintivo del suo pontificato, oltre ad essere ovviamente nel cuore della rivelazione cristiana.

Nella pagina del Vangelo abbiamo trovato un’altra icona, quella dei discepoli di Emmaus che percorrono quegli undici chilometri, quasi come gli anni del suo pontificato, dodici, e che percorrono quegli undici chilometri da Gerusalemme verso Emmaus, che sono il segno della fatica, della nostra fragile speranza: “Noi speravamo che fosse lì”, ma la bellezza di quell’immagine che il Vangelo ci ha consegnato è che se da una parte il Vangelo ci sta dicendo che i due stanno camminando in una direzione sbagliata, perché si stanno allontanando da Gerusalemme, non avrebbero voluto farlo, ma la cosa bella che ci viene detta è che Gesù camminava con loro. Non li ha incrociati andando nell’altro senso, ma camminava con loro. Non per perdersi insieme a loro, ma per ricondurli. E questo credo che sia stato lo stile del ministero di Papa Francesco e lo stile che Papa Francesco ha chiesto sempre ai vescovi, ai sacerdoti, a tutti i cristiani di adottare per la loro testimonianza.

Dicevo prima che noi lo accompagniamo ora in questo passaggio definitivo attraverso quella porta al di là della quale c’è la festa. Ora lui è in testa, è davanti a noi, perchè ci sta precedendo in questa esperienza. Ma tante volte, come lui amava dire, è stato un pastore capace di stare in mezzo al gregge anche. E qualche volta anche in fondo, chiudendo la fila, per sostenere e per aspettare tutti loro che, zoppicando, magari camminavano più adagio, che è uno stile, che è lo stile del Buon Pastore, il quale lascia le novantanove pecore al sicuro nell’ovile e si mette alla ricerca di quella perduta e ritrovatola, se la mette in spada, è pieno di gioia, la riporta insieme alle altre e così Gesù ha fatto con i discepoli di Emmaus: “Che sono questi discorsi che state facendo tra voi?”

Quante volte Papa Francesco ha affrontato in temi tipici e anche e faticosi, e qualche volta anche scandalosi, dei passaggi difficili e critici dell’umanità in quest’epoca, in questo momento della storia. “Che sono questi discorsi che state facendo tra voi?” Discorsi certamente strampalati, perché i discepoli dicono a Gesù: “Ma tu solo sei così forestiero? – Lui che invece era il protagonista di tutto quello che stavamo parlando – gli danno del forestiero. Ma mentre Gesù parla a loro e prima ancora li ascolta, il cuore comincia a sciogliersi fino a quando gli chiederanno di rimanere con loro, e nello spezzare il pane lo riconosceranno. E in quel momento sparì. Il Vangelo dice si che si rese invisibile ai loro occhi, ma presente, presente in quella Parola, presente nell’Eucaristia, presente in quella esperienza di comunione che i discepoli di Emmaus ritroveranno a Gerusalemme, dopo aver cambiato finalmente la direzione del cammino e andranno ad  incontrare gli altri, evangelizzati, altro tema caro a Papa Francesco, dalle donne, che sono state per scelta di Gesù, apostole degli apostoli.

Per prime lo hanno incontrato Risorto e sono andate ad annunciarlo agli Apostoli. 

E così anche noi, anche noi abbiamo nel cuore questo sentimento di affetto per Papa Francesco e vorremmo dirgli “resta con noi”, è certo rimane in tanti modi, nelle esperienze che abbiamo vissuto di lui, rimane nell’eredità del suo insegnamento, del suo servizio, senza farne un assoluto, è dentro una storia: prima di lui ci sono stati altri, e dopo di lui ce ne saranno altri, e ognuno ha risposto al Signore per quello che gli è stato chiesto.

Che cosa vuol dire per noi custodire il dono di Dio che abbiamo ricevuto attraverso il servizio, il mistero e la vita di Papa Francesco? Significa camminare con perseveranza, con pazienza, con gioia, in comunione nella via della fede. 

Perché, come si usa dire nel linguaggio della tradizione della Chiesa, il progresso, la santità, il bene dei fedeli sia gioia eterna dei pastori.

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