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Omelia del Vescovo per il Pellegrinaggio Sacerdotale al Santuario di N. S. di Lampedusa

22 Maggio 2025

Omelia 22 maggio 2025Pellegrinaggio Sacerdotale al Santuario di N. S. di Lampedusa (Castellaro).

Cari confratelli presbiteri e diaconi, cari fedeli,

ci ritroviamo oggi in pellegrinaggio, come presbiterio diocesano, ai piedi della Madonna di Lampedusa. Siamo venuti a lei, come figli, come fratelli, come uomini segnati dal dono del ministero e anche, spesso, dalla fatica del cammino.

Nel brano del Vangelo che abbiamo appena ascoltato, Gesù ci offre una parola decisiva, tipica del Vangelo di Giovanni: “Rimanete nel mio amore”.

Non dice semplicemente “amate”, ma “rimanete”. È un invito alla perseveranza, alla fedeltà quotidiana, alla profondità di relazione. Noi ministri del Signore, chiamati a essere segno e strumento dell’amore di Cristo per il suo popolo, dobbiamo anzitutto essere uomini che dimorano nell’amore del Signore. Non si tratta di uno sforzo volontaristico, ma di un radicamento: come il tralcio nella vite, come il figlio nel cuore del Padre.

Gesù ci rivela che questo amore non è una teoria o un astratto ideale: è qualcosa che si vive nell’obbedienza e nella comunione. «Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore». Ma quali sono questi comandamenti? In sintesi: “amatevi come io vi ho amato”.

È un amore che ha i tratti della croce, della gratuità, del perdono, del dono di sé.

Nel nostro ministero ci capita, a volte, di vivere stanchezze, delusioni, incomprensioni e solitudini. E in queste situazioni, la tentazione più forte è quella di uscire da quest’amore, di vivere come se l’amore del Signore fosse una stagione passata. Ma oggi siamo qui perché abbiamo bisogno di tornare alle sorgenti. E la sorgente è lui, il Cristo risorto e vivente, che ci dice: “Rimani nel mio amore”, non ti allontanare, non ti indurire, non cercare rifugio altrove.

Ecco perché oggi, in questo luogo mariano, abbiamo un dono speciale: la presenza di Maria, la Donna che ha saputo rimanere: sotto la croce, nel silenzio di Nazareth, nell’attesa della Pentecoste. Lei è il modello del “rimanere nell’amore”.

Non perché tutto fosse facile o evidente, ma perché si fidava, si affidava, accoglieva.

E non a caso, oggi celebriamo anche Santa Rita, donna di piaghe e di pace, donna di obbedienza e di amore impossibile. Anche lei ha saputo rimanere nell’amore: nel dolore, nel lutto, nella solitudine, nell’offerta.

La spina conficcata nella fronte non era solo segno mistico, ma memoria concreta di un amore crocifisso e fedele. Santa Rita è per noi esempio di come la fedeltà nel poco, nell’oscuro, nel silenzioso, diventa spazio di grazia.

Fratelli presbiteri e diaconi, questo pellegrinaggio non è solo un gesto esteriore o uno dei tanti eventi della nostra agenda diocesana: è una sosta nel grembo della Madre, un tempo di grazia per rinnovare il nostro “”, per lasciarci nuovamente amare, per imparare a rimanere.

Gesù ci ha detto queste cose – conclude il Vangelo – «perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena».

È sorprendente: la gioia nasce dal rimanere nell’amore, anche quando costa.

E se il ministero a volte ci sembra arido, è forse perché ci siamo allontanati da quella fonte.

Allora oggi chiediamo a Maria, Madre della Chiesa, e a Santa Rita, sorella nelle prove, di aiutarci a rimanere nell’amore.

Di restare uniti a Cristo, Pastore eterno, perché solo così la nostra gioia sarà piena e il nostro frutto abbondante.

+ Antonio Suetta, Vescovo di Ventimiglia – San Remo

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