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22 Ottobre 2022

OMELIA ORDINAZIONI PRESBITERALI E DIACONALE

22 OTTOBRE 2022

Oggi la Chiesa di Ventimiglia – San Remo è in festa per la straordinaria grazia di 3 nuovi presbiteri e di un diacono: il Signore ci vuole bene e non fa mancare in mezzo a noi gli annunciatori della sua Parola di salvezza e i dispensatori dei divini misteri.

Anche se la stagione è autunnale possiamo sentire tutta la vitalità primaverile dell’immagine del ramo di mandorlo, che il profeta Geremia ci ha consegnato nella prima lettura. Il nome di questa pianta da frutto, prima a fiorire dopo l’inverno, nella lingua ebraica, proprio per questa ragione, deriva dalla radice del verbo “vegliare”. Ecco perché il Signore, nel contesto della vocazione del profeta, gli mostra un ramo di mandorlo fiorito indicandogli come Dio non smetta mai di vigilare sulle sorti e sul cammino del popolo per non lasciarlo privo della sua guida e della sua protezione.

I fratelli che oggi presentiamo al Signore per la sacra ordinazione, chiamati misteriosamente come Geremia, sono nuovi germogli di primavera per questa Diocesi e per la Chiesa intera.

Carissimi Ernesto, Giorgio, Gabriele e Andrea, sentitevi fortemente stretti dall’abbraccio di Dio, che, come Geremia, rassicura anche voi che la vostra storia di fede e di vocazione appartiene al suo insondabile mistero, per cui siete stati conosciuti prima che vi formaste nel grembo materno, siete stati consacrati dalla sua elezione ed ora siete mandati per annunziare quello che il Signore vi ordinerà.

Che cosa significhi avere le sue parole sulla bocca ci aiuta comprenderlo il brano evangelico proclamato poc’anzi. La scena è nota e molto significativa, toccante; nel contesto di un’apparizione pasquale il Signore risorto interroga per tre volte Pietro circa il suo amore per Gesù. La delicatezza con cui il Maestro evoca il triplice rinnegamento passato risponde al bisogno dell’apostolo di sentirsi conosciuto, amato ed eletto pur nella sua deludente fragilità e, al contempo, rivela come “nulla è impossibile a Dio” (Lc 1, 37) e che “tutto posso in colui che mi da la forza” (Fil 4,13).

Coraggiosa e densa di fede è la risposa di Pietro: “Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene” (Gv 21, 17): una vera e propria consegna a partire dalla consapevolezza che il Signore ci conosce fino in fondo meglio di quanto possiamo conoscere noi stessi.

Proprio davanti alla domanda “mi ami più di costoro?” (Gv 21, 15) in vista del ministero e della vita che vi attende vi esorto ad essere veri e sinceri.

Sinceri davanti a Dio, capaci di quell’abbandono fiducioso in lui, che deriva dalla consapevolezza che “tutto è nudo e scoperto agli occhi suoi” (Eb 4, 13), che egli conosce i nostri pensieri, le intenzioni profonde del cuore e che, come dice il Salmo (56), “passi del mio vagare tu li hai contati, le mie lacrime nell’otre tuo raccogli; non sono forse scritte nel tuo libro?”: da questo tanta fiducia, ma anche profonda responsabilità nel vivere con speciale e intensa fedeltà il ministero che state per ricevere.

Sinceri davanti agli altri, coraggiosi nella testimonianza e nell’annuncio del vangelo di Gesù. L’apostolo Paolo ha indicato una libertà essenziale per il ministero: “nessuno mi procuri fastidi: io porto le stigmate di Gesù nel mio corpo” (Gal 6, 17). Viene alla mente la vicenda di San Francesco, che, verso il compimento di una vita tutta tesa a lasciarsi plasmare dal vangelo vissuto e mostrato “sine glossa”, di fronte a difficoltà e domande laceranti, avendo chiesto un segno al Signore, è stato marchiato con i segni della passione di Gesù. Penso a San Giovanni Paolo II, di cui oggi facciamo memoria liturgica; egli nel 1980 così si rivolgeva in Brasile ai nuovi sacerdoti: “La forza del segno non sta nel conformismo, ma nella distinzione. La luce è diversa dalle tenebre per poter illuminare la strada di chi sta nell’oscurità. Il sale è diverso dal cibo per potergli dare sapore… Cristo ci chiama luce e sale della terra. In un mondo dissipato e confuso… la forza del segno sta esattamente nell’essere differente. Esso deve distinguersi tanto più quanto più l’azione apostolica esige maggior inserimento nella massa umana. A questo proposito chi non si accorge che l’aver assorbito una certa mentalità mondana, l’aver frequentato ambienti dissipati, come anche l’abbandono di un modo esterno di presentarsi, distintivo dei sacerdoti, possono diminuire la sensibilità del proprio valore di segno? Quando si perdono di vista questi orizzonti luminosi la figura del sacerdote si oscura, la sua identità entra in crisi, i suoi doveri peculiari non si giustificano più e si contraddicono, si infiacchisce la sua stessa ragion d’essere”.

Come in particolare ci richiama l’ordinazione diaconale di Andrea, siate sempre e veramente a servizio dei fratelli, ma servi di Cristo, mai servi del mondo: è una lealtà che dovete al Signore, al prossimo e a voi stessi.

Siate sinceri appunto con voi stessi.  Ricordate quante volte, nel tempo del Seminario, vi ho condotti alla domanda che San Bernardo rivolgeva i tanti giovani che bussavano alla porta del monastero? “Ad quid venisti?”. Anche oggi ve la ripeto: perché sei venuto qua? che cosa cerchi veramente? Vorrei mettere nel vostro cuore una bella risposta con le parole che Papa Francesco ha rivolto ai giovani nel suo recente viaggio in Canada: “Tu, fratello, sei la risposta. Non solo perché se ti arrendi hai già perso in partenza, ma perché il futuro è nelle tue mani. Sono nelle tue mani la comunità che ti ha generato, l’ambiente in cui vivi, la speranza dei tuoi coetanei, di chi, anche senza chiedertelo, attende da te il bene originale e irripetibile che puoi immettere nella storia, perché “ciascuno di noi è unico”. Il mondo che abiti è la ricchezza che hai ereditato: amalo, come ti ha amato chi ti ha dato la vita e le gioie più grandi, come ti ama Dio, che per te ha creato ciò che di bello esiste e non smette di fidarsi di te nemmeno per un brevissimo istante. Egli crede nei talenti che ti ha dato. Ogni volta che lo cerchi comprenderai come la via che ti chiama a percorrere tende sempre verso l’alto. Lo avvertirai quando guarderai il cielo pregando e soprattutto quando alzerai lo sguardo al Crocifisso. Capirai che Gesù dalla croce non ti punta mai il dito contro, ma ti abbraccia e ti incoraggia, perché crede in te anche quando tu hai smesso di credere in te stesso. Allora non perdere mai la speranza, lotta, metticela tutta e non te ne pentirai. Vai avanti nel cammino, “passo dopo passo verso il meglio”. Imposta il navigatore della tua esistenza verso una meta grande, verso l’alto!”.

Carissimi ordinandi, so, anche per esperienza personale, come questo giorno riempia il vostro cuore di una gioia speciale, forse incomprensibile a molti, e di grande trepidazione.

Come padre e come fratello, vi ripeto con tutta la fiducia e l’affetto che ho per voi, e che voi ben conoscete, di assumere come programma di vita le parole che Gesù, al termine di quell’indimenticabile incontro con Pietro, ha rivolto al discepolo e all’apostolo: “In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi»” (Gv 21, 18-19). Ancora per esperienza vi dico che non mancheranno le difficoltà, le incomprensioni, le tribolazioni e vere e proprie persecuzioni; verranno da fuori e, purtroppo anche da dentro, dai fratelli nella fede e dai confratelli; ci saranno inevitabili fatiche nel vivere la comunione, l’obbedienza e il servizio pastorale. Lo dico non per sfiducia come se fossimo cattivi, ma perché sappiamo che nel campo di Dio il nemico semina zizzania (cfr. Mt 13, 24-30); sappiamo pure tuttavia che il nemico  “non si scaccia se non con la preghiera e il digiuno” (Mt 17, 21).

Non considerate il vostro ministero dalle risposte scarse degli uomini, ma  dal punto di vista del dono che Dio vi ha fatto.

L’invito accorato di Gesù a lasciarsi “vestire e condurre” delinea esattamente la preghiera assidua, intensa profonda insieme ad una docilità a tutta prova. Fuggite la tentazione di una malintesa “autosufficienza emancipata”, frequentemente rivendicata anche nella Chiesa, per seguire la via più sicura della “minorità” evangelica; ricordate che “l’uomo coperto di vestiti non può pretendere di lottare con un ignudo” (FF 2867) perché l’amore vuole lo spogliamento per la comunione totale con l’amato. Ricordate che è suprema libertà arrendersi totalmente all’amato, questa passione assurda di farsi suo strumento, suo gingillo, suo giocattolo perfino, ma suo. Credere non è domandare all’amato “dove mi porti?”, ma è implorare umilmente che ovunque ci porti con sé.

Don Giorgio, don Ernesto, don Gabriele, Andrea, vi affido allo sguardo materno di Maria, che qui ha offerto un prodigioso segno della sua premura per i suoi figli, ed è in questa prospettiva di consegna e di fiducia che, in nome di Gesù e a nome della Chiesa, ora dico a ciascuno di voi: «Seguimi».

+ Antonio Suetta, vescovo di Ventimiglia – San Remo

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