Diocesi Ventimiglia – Sanremo

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Vescovo

Omelia per le Ordinazioni diaconali e presbiterali

1 Luglio 2017

di Mons. Antonio Suetta, vescovo di Ventimiglia – Sanremo

Figura tipicamente vocazionale, Abramo, ci illumina con il famoso episodio di accoglienza alle querce di Mamre: ci sono due aspetti decisivi per la vita ed il ministero ordinato.
È una manifestazione di Dio nel contesto dell’accoglienza, collocando però una linea di demarcazione, una soglia, interessante per una fondamentale differenza nell’attitudine del cuore.
Subito balzano allo sguardo un servizio, un gesto di ospitalità, così come il ministero ordinato può apparire facilmente come un mettersi a disposizione della Chiesa e dei fratelli.
Ma il racconto conduce più in profondità trattandosi di una rivelazione di Dio, che ancora chiama Abramo e lo accompagna nel compimento dell’alleanza.
Carissimi ordinandi diaconi e presbiteri, ospitare qualcuno non ha solo il significato di introdurlo in casa, vuol dire anche amarlo e accoglierlo. E qui siamo al cuore del mistero della sacra ordinazione: ora voi accogliete nella vostra vita Gesù, il servo e il sacerdote, in forma così intensa, grazie al sacramento, da divenire capaci di accogliere, a vostra volta, i fratelli nel suo nome e nella sua persona, non per un generico bisogno, ma essenzialmente per la salvezza.

Nella suggestiva storia di Abramo a Mamre distinguiamo due scene: la prima riguarda l’ospitalità e il servizio, mentre la seconda è dominata dalla parola che apre all’attesa.
Il servizio ai fratelli risplende nel diaconato e continua a caratterizzare anche il ministero del presbitero, ma c’è un oltre.
Nel deserto della vita ogni uomo ha bisogno di aiuto e ciascuno deve offrirlo; così l’ospitalità si concretizza nel tenere la porta aperta, nel lavare i piedi, nel dare alloggio, nell’offrire cibo e nel fornire aiuto per il viaggio.
Le parole del Signore “Qualunque cosa avete fatto ai più piccoli, lo avete fatto a me” (Mt 25,40) danno al servizio un valore ulteriore di profondità: Abramo non conosce i suoi ospiti, non pensa al Signore, e così la loro visita costituisce una prova. Non si è facilmente ospitali: per essere pronti si ha bisogno di una soglia che prepara al mistero dell’accoglienza. Abramo sta su questa soglia, che oggi per voi è la risposta offerta al Signore per servirlo nella santa Chiesa.

In quell’ora anomala, la più calda del giorno, l’ora della fatica e della tentazione, l’ospite arriva improvviso senza segnali che lo preannuncino; Abramo tuttavia lo scorge perché “alza gli occhi”.
La capacità di guardare e di farlo in modo diverso dal solito dovrà sempre contraddistinguere la vostra vita. Uno sguardo così nasce dalla capacità di abitare il raccoglimento, dallo stare sulla soglia. Sollevare lo sguardo indica un vedere pronto a coinvolgersi, ma, nello stesso tempo, non è né ovvio né facile, perché vuol dire disponibilità a comunicare e rischiare: colui che giunge come uno sconosciuto insegna a non dare niente per scontato, a lasciarsi stupire e anche disturbare.
Abramo, ormai abituato al vedere penetrante e all’ascolto della parola e del silenzio, è in grado di udire la voce muta dei tre uomini, che, bisognosi di tutto, tacciono. Egli sarebbe lontano da loro perché non li conosce, ma diventa vicino per l’ospitalità e per la capacità di vivere in costante e vigile apertura allo stupore: non esiste il prossimo, esiste lo slancio di “farsi prossimo”.
La sua accoglienza non si concentra sui beni, ma sull’uomo. Fino alla fine egli rispetta la libertà dell’ospite: non lo soffoca con premure, non lo lega a sé, ma ha cura che l’altro sia in grado di riprendere il cammino.
Però egli custodisce anche la propria libertà, non aprendo imprudentemente la tenda.

Ed è su questo ulteriore aspetto che desidero soffermarmi per ricordarvi tratti essenziali di ciò che oggi accade; il Sacramento dell’Ordine vi conforma a Cristo affinché possiate agire in suo nome per il bene del popolo di Dio e la salvezza dei fratelli, e la Chiesa nell’affidarvi questo ministero, frutto di un particolare sguardo di predilezione di Dio, rimarca la soglia chiedendovi di corrispondere al dono con alcuni significativi impegni: la preghiera, una vita evangelica, il celibato, l’obbedienza e uno stile di comunione.
Abramo ha invitato i tre uomini sotto l’albero, all’ombra, ma non li ha fatti entrare nella tenda; ha offerto uno spazio per stare in libertà, uno spazio di comunione ma distinto dalla tenda, uno spazio che consente la relazione senza confondere le soglie.

Mentre lo dico a voi, desidero ricordarlo a me stesso e a tutti i presbiteri: non dimentichiamo che, come Gesù, il sacerdote è “preso fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati”, come è scritto nella lettera agli Ebrei (5, 1). Rifuggiamo dunque dalla tentazione di ridurre il nostro ministero alle cose della terra, rischiando di mortificare il dono di Dio, di impoverire i fratelli, di inquinarci di mondanità e inaridire il nostro cuore, che poi inevitabilmente cercherebbe compensazioni umane, incomincerebbe a ragionare secondo una prospettiva terrena e, alla fine, resterebbe paralizzato di tristezza e di assurde rivendicazioni. Non dimenticate mai la miopia lagnosa del fratello maggiore nella parabola del padre misericordioso: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici” (Lc 15, 29).

Il capretto preparatelo per gli ospiti, come Abramo, ma non cercatelo mai per voi: avrete il centuplo rispetto a ciò che lasciate, secondo la promessa di Gesù, ma prima di tutto cercate il suo regno e la sua gioia. Vivete la vostra scelta irrevocabile con lo stile di fede umile e semplice descritto dal centurione di cui ci ha parlato il Vangelo: Pur essendo anch’io un subalterno, ho dei soldati sotto di me e dico a uno: «Va’!», ed egli va; e a un altro: «Vieni!», ed egli viene; e al mio servo: «Fa’ questo!», ed egli lo fa» (Mt 8, 9); da qui risplenderà la vostra dignità e da qui ogni efficacia.
Papa Francesco ci ricorda che “il segreto del presbitero sta in quel roveto ardente che ne marchia a fuoco l’esistenza” (Discorso alla CEI, 16.05.2016).
Niente e nessuno occupi la vostra tenda, cioè il vostro cuore, se non il vostro Signore; chiamati ad amare tutti senza riserve e a fare dono della vostra esistenza, il vostro cuore dovrà appartenere, sempre indiviso, soltanto al vostro Signore.

Qui sta la differenza tra deputazione e consacrazione: voi non siete incaricati di un compito, ma siete scelti per appartenere a Cristo e parteciperete alla sua missione nella misura in cui “berrete al suo calice” (Mt 20, 23), cioè condividerete il suo destino, e lo stile; indissolubilmente legati all’altare e all’Eucaristia.
A questo discorso rimanda la seconda scena della bella storia di Abramo: lo straniero rivela di essere uno che vede molto più lontano di lui e che ascolta molto più profondamente il silenzio e le parole non dette; c’è una tenda vuota di figli, un dolore silenzioso di Abramo e di Sara per la loro sterilità. Per stare sotto l’albero a servire potrebbe sembrare che la vostra tenda resti vuota di figli e di futuro, ma il Signore proprio là sta fissando lo sguardo e, fedele nei suoi misteriosi disegni, la riempirà di vita e di gioia. Albero e tenda, luoghi di ricchezza e di povertà: Abramo e Sara hanno offerto quello che avevano, ma non hanno figli; gli ospiti hanno bisogno dell’albero, ma sono portatori di ciò che manca all’anziana coppia. Così Abramo e Sara danno e ricevono, gli ospiti ricevono e danno facendo circolare un grande dono: la comunione. Proprio così l’Apostolo Paolo descrive il ministero: “Siamo ritenuti impostori, eppure siamo veritieri; sconosciuti, eppure siamo notissimi; moribondi, ed ecco viviamo; puniti, ma non messi a morte; afflitti, ma sempre lieti; poveri, ma facciamo ricchi molti; gente che non ha nulla e invece possediamo tutto!” (2 Cor 6, 8 – 10).
È un mistero, ma corrisponde al volto più vero della realtà: non sarà il vostro fare, ma la vostra consegna nelle mani di Dio ad intessere la meravigliosa storia di salvezza che incrocerà la vostra vita con quella di chi troverete sul cammino.

State sotto il grande albero della Chiesa con inesauribile e tenera disponibilità, “pascete –secondo le espressioni della seconda lettura – il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non perché costretti, ma volentieri, come piace a Dio, non per vergognoso interesse, ma con animo generoso, non come padroni delle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge” (cfr. 1 Pt 5, 2-3); sotto quell’albero ci sia spazio per tutti, sempre.

Ma nella tenda, no. Quella è per Dio: lì cercatelo – e fatevi trovare! – nel silenzio, nella preghiera, nella gioia umile di essere suoi, nella resa incondizionata ai suoi disegni.
Egli solo riempirà il vostro cuore e vi donerà autentica fecondità e quando finalmente apparirà, Lui, il pastore supremo, riceverete la corona della gloria che non appassisce (cfr. 1 Pt 5, 4).

Foto di A. Freni (che ringraziamo di cuore)

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