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Omelia della Messa di Pasqua

4 Aprile 2021

OMELIA MESSA PASQUA
4 aprile 2021

“Cristo risorto dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui”: così la voce della
Chiesa annuncia con grande gioia e sicura speranza l’evento fondante della fede cristiana.
Oggi i cristiani professano che il Signore Gesù, morto sulla croce dopo aver sofferto una dolorosa
passione, è risuscitato, vincendo il potere del male e della morte e aprendo le porte della salvezza e
della vita eterna per tutti coloro che credono in lui.


San Paolo, rivolgendosi ai Corinzi, ricorda con forza che “Se non vi è risurrezione dei morti,
neanche Cristo è risorto! Ma se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota
anche la vostra fede” (1 Cor 15, 13-14).
Ricevendo il lieto annuncio del sepolcro vuoto, noi fermamente crediamo che Cristo è veramente
risorto dai morti, e lo diciamo non soltanto in modo simbolico, ma affermando che egli davvero ha
vinto la morte.


È purtroppo ricorrente, anche nel linguaggio ecclesiale, parlare di risurrezione riferendo il termine
al superamento di qualche situazione infelice e critica, come oggi siamo abituati a sentire a
proposito della pandemia. Non dobbiamo far però confusione; se è ben logico guardare al futuro
con desiderio e attesa di bene, non possiamo limitare il concetto e la potenza della risurrezione alla
risoluzione di momenti difficili: per quelli, pur riconoscendo sempre all’opera la Provvidenza di
Dio, non dobbiamo scomodare la risurrezione. Sono passate le catastrofi, le guerre, le carestie e
passerà anche questo terribile momento.

La risurrezione di Cristo è un evento decisivo e inaudito: egli ha vinto la morte e il potere di Satana;
per questa vittoria l’uomo non avrebbe avuto speranza possibile se non dalla forza di Dio e dal suo
amore misericordioso.
Noi cristiani proclamiamo con certezza di fede che Gesù è uscito vivo e glorioso dal sepolcro,
apparendo alle donne, agli apostoli e a tanti discepoli, mostrando i segni della passione, mangiando,
bevendo e parlando con loro.


Chiaramente la risurrezione di Cristo è ben di più che un ritorno alla vita di prima; infatti la Chiesa
dichiara nella luminosa letizia pasquale che Egli non muore più.
Nella liturgia battesimale di Pasqua noi ricordiamo che, per grazia, siamo stati immersi nel mistero
pasquale di Cristo mediante il Battesimo: in quell’acqua, vivificata dallo Spirito del risorto, è morto
per sempre il nostro uomo vecchio, schiavo del peccato, delle passioni e della morte, ed è risorto un
uomo creato secondo Dio e destinato anch’egli alla vita immortale e alla risurrezione.
Questa è la portata sostanziale e metastorica della risurrezione, che non può però prescindere dal
segno vero, che Cristo cioè sia realmente risorto dai morti.

Egli ha aperto la vera strada dell’esodo, quella che conduce dalla schiavitù del peccato e della morte
alla libertà dei figli di Dio, ha sconfitto il potere del maligno e ha reso accessibile all’uomo la vera
terra promessa, che è la vita immortale.
La straripante letizia pasquale ci conduce a considerare in questa prospettiva di autentica speranza il
pellegrinaggio terreno, minacciato dalla fragilità, dalla tribolazione e ancora dall’esperienza del
peccato e delle sue tristi conseguenze; siamo infatti consolati e sostenuti dal pensiero che la nostra
vita sia effettivamente fermentata dal lievito nuovo della risurrezione e che ogni forma di limite
troverà affrancamento quando anche per noi il disegno di Dio di compirà.
Tutto ciò produce conseguenze concrete, che trasformano anche nella provvisorietà di questo oggi
terreno la vita dell’uomo e ne promuovono uno sviluppo coerente al dono ricevuto.
Tra queste il primo frutto della risurrezione è la gioia; non un fatuo ottimismo derivante da fragili
probabilità o, peggio ancora, da prospettive presuntuose di autosufficienza tecnologica e scientifica.

La gioia cristiana è semplice e umile: non proviene da risultati mondani, nasce da un cuore
rinnovato dal perdono e fiducioso nella sicura speranza. Come aveva detto Gesù: il mondo non sa
dare questa gioia e non può neppure toglierla (cfr. Gv 16, 23).
Altro dono tipico della risurrezione è la vita nuova; chi è risorto con Cristo non si lascia più guidare
dal vecchio lievito di malizia e di perversità (cfr. 1 Cor 5, 6-8), e diviene capace di esprimere il
bene, la giustizia e la pace. L’anelito ad un mondo nuovo trova premessa di sicura attuazione nel
tempo inaugurato dalla risurrezione di Gesù e che si compirà quando egli tornerà glorioso per
instaurare definitivamente il regno di Dio.


Una tale consapevolezza mostra altri criteri per leggere la storia e invade i cuori come profonda
consolazione e generoso coraggio; il credente cammina in una prospettiva inedita e autentica che ha
come orizzonte il compimento eterno. Ciò rende tutto ragionevolmente relativo e impedisce
l’inesorabile delusione di chi punta la vita soltanto sulle sicurezze terrene.
Sentiamo ancora il peso di tante angustie e tribolazioni, ma non abbiamo paura, anzi, come ci
insegna San Paolo, essendo risorti con Cristo, cerchiamo le cose di lassù, dove egli è assiso alla
destra di Dio e dove anche noi siamo attesi (cfr. Col 3, 1-4).
La stessa forza che ha ribaltato la porta del sepolcro spalanca dinanzi ai redenti le porte del
paradiso.

+ Antonio Suetta, vescovo di Ventimiglia – San Remo

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